TORRICELLA
La storia di Torricella è stata realizzata grazie a una ricerca molto approfondita fatta da Giampaolo Govi, abitante della frazione, che ci ha fornito anche interessanti
immagini storiche.
Le Fonti bibliografiche, oltre al volume citato più sotto, sono:
"Sissa e le sue Delegazioni (Gianni Capelli)"; "Sissa (A. Bacchini)".
La piccola frazione del Comune di Sissa ha origini lontanissime nel tempo. Infatti la presenza di terremare nei pressi di Torricella documenta la presenza dell’uomo in quel sito, come viene segnalato nella Carta topografica delle terremare (Pigorini e Strobel, 1864, tav. IX). Sulla base dei materiali disponibili il sito risulta dunque attivo nel XIII sec. A.C. Più difficile è ipotizzare l’effettivo impianto dell’abitato. Comunque anticamente il villaggio, per la sua vicinanza al Po, svolse un ruolo di qualche rilievo tra il Po e il Taro.
Dal “Vocabolario topografico dei Ducati di Parma, Piacenza e Guastalla” di Lorenzo Molossi, edito in Parma dalla Tipografia Ducale 1832-1834, si traggono le seguenti notizie storiche.
“TORRICELLA, villa del Comune di Sissa in riva al Po, distante miglia 1 ¾ circa all’est dalla foce del Taro, 2 al nord nord-est dal capoluogo, 16 al nord nord-ovest da Parma. La parrocchia è arcipretura pievana di libera collazione. Popolazione 686. Vi risiede un Sott’ispettore di Finanza ed una Dogana confinaria. Pel passaggio del fiume vi si tengono un porto e due battelli.
Il castello, sì nominato nelle Istorie, che quivi sorgeva tra il Po e il Taro, e che tuttavia gagliardo reggevasi in piedi nella metà del XVI secolo, fu per le acque rovinato ed oggidì non ne apparisce orma. Fu posseduto dai Terzi. Presidiavanlo i Veneziani nel 1427, allorquando Filippo Maria, duca di Milano, lo fece stringere ed assalire dalla parte di terra e da quella del Po. Resisterono essi con molto vigore, ma alfine dovettero rendersi. Secondo l’Angeli, il duca Filippo Maria lo vendè a Pier Maria Rossi; rovinata questa famiglia, passò agli Sforza. Appresso lo ebbe Alessandro Sforza, conte di Pesaro, al cui figlio Costanzo d’Aragona fu assegnato in feudo nel 1475 dal duca Galeazzo Maria. Morto Costanzo, continuarono a possederlo Camilla, vedova di lui, e Giovanni, suo figlio; ma Lodovico XII, re di Francia, conquistato il Milanese, ne fece dono con Atto dell’11 Novembre 1499 ai fratelli Angelo, Pietro, Paolo e Francesco Simonetta, i discendenti de’ quali lo hanno poi sempre posseduto con titolo di Contea.
Anche nel 1551 quel castello, essendo stato ben munito da Ottavio Farnese, resistè ai colpi delle imperiali artiglierie.
Vi fu un Convento di Minoriti fondatovi nel 1606 dai Simonetta.
Torricella fu patria ad Alessandro Gaboardo, letterato di vaglia che fiorì nel principio del secolo XVI, zio ad un Francesco Cardani della stessaterra, che nonmancò né pur esso di lettere”.
Lo straripamento del Po, di cui parla il Molossi, oltre a distruggere il castello, che, dopo le vicende ricordate, era stato in seguito abbandonato, mutò anche il corso del fiume, dividendo in due parti il centro abitato. Si deve a questa calamità naturale la formazione di due villaggi: uno, lombardo, Torricella del Pizzo; l’altro, parmense, Torricella appunto, entrambi a filo delle opposte sponde. A ricordare che le località secoli fa erano unite, domenica 11 giugno 2006 è stato celebrato il "GEMELLAGGIO SUL GRANDE FIUME": le Comunità Torricellesi delle due sponde del Po, con in testa i rispettivi Sindaci e col patrocinio delle Autorità Provinciali, si sono incontrate "in sal Po" per recuperare le proprie tradizioni e valorizzare le proprie culture e i propri prodotti.
Per quanto riguarda il Convento dei Frati Minori Osservanti, edificato, come sopra riportato dal Molossi, nel 1606 dai feudatari Orazio e Ferrante Simonetta assieme all’annesso Oratorio di San Giovanni Battista, dopo che vennero distrutti dalle acque del Po, vennero ricostruiti dai Frati nel 1640-1648 e ospitarono la Comunità fino al 1805, anno in cui venivano soppressi per Decreto Napoleonico gli Ordini Religiosi. Quella soppressione fu il preludio alla distruzione del complesso di cui non rimangono tracce. Dov’era ubicato il Convento? Una Mappa del 1811 evidenzia una grande costruzione denominata “L’Eglise dei Frati”(La Chiesa dei Frati, detta anche Convento di San Donnino). Si trovava a nord del paese su una strada chiamata “Rute de Caprara”, ora sostituita dall’argine maestro che porta a Gramignazzo.
Essendo Torricella un insediamento rivierasco, era dotata di un porto, la cui attività crebbe di importanza nella seconda metà del Seicento, dato l’incremento degli scambi con Venezia, che richiedeva laterizi cotti nella fornace di Gramignazzo in cambio di carbone trasportato in sede da grossi barconi. Tale attività avrà un seguito agli inizi del Novecento, quando, dopo il crollo del campanile di San Marco (1902), partiranno da Torricella fino al 1912 i mattoni per riedificare la torre ridotta ad un cumulo di rovine. Successivamente la funzione commerciale del porto di Torricella lentamente si spense. Ai giorni nostri il porto ha acquisito una importanza soprattutto turistica con attrezzatura di attracco per le motonavi che svolgono percorsi fluviali organizzati. Adiacenti al porto attrezzato stanno l’incantevole Parco “Boschi Maria Luigia” e il ristorante “Lo Storione”. Torricella inoltre è sede di una “Associazione di Motonautica”.
Ma, ritornando al tempo che fu, tra Torricella e Gramignazzo vi era una zona chiamata “Molinatico”, dove lavoravano i mulini su barca. Percorrendo una stradina stretta che si snoda tra i campi poco prima dell’ingresso in Gramignazzo provenendo da Torricella e che si chiama ancor oggi “Via dei mulini”, i contadini arrivavano con i carri pieni di sacchi di frumento in riva al Po, che allora scorreva in vicinanza dell’argine maestro, e lì facevano la fila per ore e ore. Portavano i sacchi a spalla sulle barche e quindi al mulino galleggiante. Il mulino (la macina) era posto su due barconi, “i sandón”, che reggevano con due o tre assi trasversali le due ruote con le pale. Queste, mosse dalla corrente, facevano girare la macina.
Lo sguardo del viaggiatore che arriva da Sissa, all’altezza dell’incrocio con la strada per Gramignazzo non può non essere colpito dalla visione di un imponente edificio che rappresenta uno dei tanti insediamenti signorili tipologicamente simile ad altri ubicati nelle tenute agricole della Bassa Parmense. Si tratta di "VillaSimonetta",oggi "Pizzi", databile alla metà del Seicento, quando il feudo di Torricella era governato dai conti Giacomo e Girolamo, dai quali la residenza ha preso il nome.
Ci troviamo di fronte ad un insediamento abitativo che ricalca gli schemi a pianta centrale, che ebbero nel Palladio il massimo diffusore nella campagna Veneta, anticipando la scelta, che avrà innumerevoli seguaci, di privilegiare “un amoroso rapporto dell’edificio con la natura e l’ambiente circostante”. La Villa-Palazzo s’inserisce in un contesto urbanistico caratterizzato dalla presenza di aggregazioni edilizie utilizzate come dipendenze coloniche. La presenza di una recinzione stabilisce il limite della proprietà, ma sottolinea più ampiamente le caratteristiche funzionali del complesso, che si configura come “Corte padronale di tipica impronta rurale”. Se il quadro generale dell’insediamento ha mantenuto nel tempo la primitiva configurazione, molti dettagli sono andati perduti, come risulta dall’osservazione della gigantesca “veduta” dipinta da Vincenzo Bertolotti su una parete del salone di Palazzo Sacco a Parma nel 1860.
Il corpo del fabbricato, che volge il retro al Po, si sviluppa su base quadrata, con la facciata principale arricchita da una doppia scalinata a tenaglia che conduce ad un vasto loggiato. Nella penombra del portico spiccano, corrosi dal tempo, alcuni medaglioni raffiguranti Imperatori Romani e soggetti mitologici che colgono in variati atteggiamenti tre Divinità dell’Olimpo: Diana, Venere e Marte, vale a dire la caccia, l’amore, la guerra. Procedendo all’interno, un breve corridoio dalle pareti dipinte immette nel Salone di Rappresentanza, che porta al vertice della volta un rosone con l’allegoria della Primavera. Nelle quattro sale che ruotano attorno al Salone centrale la soffittatura è arricchita da altrettanti rosoni, in cui è ancora una volta presente il tema mitologico di Venere e di Diana cacciatrice.
Particolare interesse rivestono gli infissi d’epoca dall’elegante intaglio, forse prodotti dai “marangoni” locali, considerata la vocazione artigianale del paese nella lavorazione del legno.
La leggende popolari vorrebbero la Villa testimone di oscuri fatti d’amore e di morte. Una di queste leggende narra di una bellissima donna che fu pugnalata per aver difeso la sua virtù e che, nel fuggire, lasciò una striscia di sangue sull’ultimo tratto di scala: l’impronta di una mano intrisa di sangue si poteva vedere fino a quando non è stata murata l’ultima parte di scala. Forse esiste un fondo di verità, anche se meno romanzata, e cioè l’esistenza di un pozzo dai mille tagli in cui venivano giustiziate le persone “sgradite”. Altra leggenda meno cupa, ma inverosimile, parla della fugace presenza di Napoleone I in Villa in un periodo che, però, nessuno è in grado di precisare. Ricordiamo, invece, che Villa Simonetta è sempre stata abitata e ciò ha consentito di arrestarne costantemente il degrado. Documenti del Catasto ottocentesco accertano che nel 1821 la Villa ha cambiato intestazione e denominazione. Nell’ordine sono divenuti proprietari del “Palazzo” (tale denominazione persiste tuttora) i Mazzani, cui seguiranno i Raimondi, i Compagna, i Corbellini. L’ultimo acquirente, infatti, è stato Giulio Cesare Corbellini, ingegnere Capo delle Ferrovie, il quale alla fine dell’Ottocento ha lasciato in eredità alla figlia Teresa Corbellini in Pizzi “il Palazzo” e i terreni adiacenti. Attualmente l’immobile è abitato dagli eredi che ne garantiscono la conservazione.
Altro elemento architettonico significativo del paese è la Chiesa col campanile, già attiva nel 1230, anche se la prima notizia sull’edificio risale al 1182, mentre compare il nome del titolare, San Donnino Martire, nel 1354. I danni irreparabili subiti dalla Chiesa a causa delle inondazioni del Po portarono alla costruzione nel 1705 dell’attuale, che conserva all’interno alcuni dipinti della seconda metà del Settecento, un busto marmoreo di Alessandro Cattaneo nella Sagrestia e un gruppo ligneo settecentesco raffigurante la Sacra Famiglia. Il campanile quadrato, che svetta a lato della Chiesa, forse ricostruito alla fine del Cinquecento su fondamenta medioevali, è traforato in altezza con bifore ad arco a tutto sesto e da sottostanti bucature arcuate formanti una croce greca. Del corredo pittorico della Chiesa fanno parte due quadri. Il primo, “Maria Bambina fra i Santi Domenico, Francesco di Paola (e forse Teresa) glorificati dai Cherubini”, è un’opera che presenta affinità di tecnica e di stile coi dipinti di Paolo Ferrari (Sissa 1705-?). Purtroppo è assai danneggiato, pieno di buchi e di strappi e la tela molleggia sul telaio. Il secondo è un pregevole “ San Bernardo degli Uberti, Vescovo di Parma, che benedice le acque del Po al cospetto della Vergine e degli Angeli”. È un’opera del XVIII secolo. Il Santo è a destra, vestito degli abiti episcopali con il pastorale in mano; in terra a destra è un cappello cardinalizio. Al suo gesto di benedizione la Vergine appare nei cieli, gli angeli calmano le acque mosse del Po, mentre un demonio si tuffa nelle acque stesse per scomparire. L’opera è affine ai dipinti di Antonio Balestra, da attribuirsi a lui o a un suo immediato seguace. Interessante notare come nella parte bassa del quadro sia dipinto lo stemma dei Simonetta.
A Torricella rivive ancora il ricordo di Padre Daniele (1867-1945), che al secolo, col nome di Dario Coppini, fu venditore ambulante prima di essere chiamato al sacerdozio nel 1896. Con devozione e amore religioso entrò nel Noviziato dei Cappuccini di Borgo San Donnino, vestendo il 9 gennaio 1897 il saio col nome di Fra’ Daniele. Il 13 aprile 1903 veniva consacrato sacerdote a Pontremoli e divenne poi cappellano negli ospedali di Piacenza, Modena e Reggio Emilia. Fu di grande sollievo per gli ammalati avere al fianco questo Francescano dalla folta e riccioluta barba bionda, che esercitava con amore smisurato le più elette virtù. Si spense nel dicembre del 1945 a Reggio Emilia, e nel decennale della morte la sua salma fu trasferita nella Chiesa dei Cappuccini della stessa città. Il 28-12-1956 si aprì il processo informativo per poterlo elevare agli onori dell’altare e il 10-12-1963 si chiuse solennemente proclamandolo “Servo di Dio”. È già iniziato il processo di Beatificazione. Fu co-fondatore e guida delle suore “Missionarie Francescane del Verbo Incarnato”.
La storia di Torricella non è segnata soltanto dalle periodiche inondazioni del Po ripetutesi nel corso dei secoli con le conseguenze di cui già si è parlato. Sono trascorsi ormai quarant’anni dal catastrofico tornado che la domenica del 4 luglio 1965 portò morte e rovina nel paese, ma il ricordo è ancora vivo e limpido nella memoria collettiva degli abitanti. La mattinata era stata afosa come non mai. Erano passate le 15 da pochi minuti. Il cielo si oscurò quasi all’improvviso e un vento fortissimo prese a soffiare con insolita violenza. Chicchi di grandine grossi come uova avevano già spinto la gente ai ripari. Una violenta tromba d’aria stava per abbattersi sul piccolo centro della Bassa. Raffiche taglienti si intrufolavano tra porte e finestre. Piccoli mulinelli di rami e foglie preannunciavano l’arrivo dell’imbuto infernale. Un fungo bianco, enorme, avanzava a prepotente velocità. La gente, chiusa nelle abitazioni, non ha fatto in tempo ad accorgersi di ciò che stava accadendo. Nel giro di pochi secondi un boato assordante e le case erano già distrutte. Passato il ciclone, un paesaggio surreale. Montagne di macerie. Tetti divelti, abitazioni squarciate, auto fatte volare, lamiere accartocciate, alberi sradicati. Le barche, ancorate alla riva del fiume, sganciate dalla furia del vento e trascinate via. Tante persone erano imprigionate sotto tegole e mattoni crollati. Gli animali delle stalle in pericolo di vita si trovavano sommersi dal fieno e soffocati dalle travi spezzate. Furono un’ottantina i feriti e tre i morti. I lavori di ricostruzione partirono subito. Gli abitanti di Torricella si rimboccarono le maniche e non si tirarono indietro di fronte alla fatica. Tutto doveva ricominciare da capo. Arrivarono tanti aiuti, furono raccolte offerte in denaro e in beni di prima necessità. È stata allestita una mensa nei pressi della Canonica, divenuta centro operativo dei soccorsi. Chi aveva bisogno poteva fermarsi a mangiare qualcosa. In pochi mesi la vita è tornata quasi normale. Anche le Autorità di Governo vollero rendersi conto di quanto era accaduto. Infatti vi fu a Torricella la visita dell’On.le Pietro Nenni, allora Vice.Presidente del Consiglio dei Ministri.
Torricella ora, per quanto riguarda la vicinanza del Po, vive relativamente tranquilla e sicura. Gli argini maestri, già possenti, sono stati ulteriormente e recentemente rialzati e rafforzati, per cui il Grande Fiume è guardato con profondo rispetto, ma senza timore. Se, però, il vento comincia a soffiare oltre una certa ragionevole intensità, la memoria ritorna istintivamente a quel lontano 4 luglio 1965, quando Torricella, e segnatamente la “Via Bassa”, non esisteva quasi più.
Alcune foto storiche che testimoniano la distruzione causata dal tornado del 1965
La villa
La Bassa
La Mensa che era il centro operativo dei soccorsi
La visita del vice presidente del consiglio Pietro Nenni
I giovani volontari e le persone inservienti del Centro Operativo Tornado in un momento di relax con la fisarmonica di Nigrén
Via Po anni cinquanta
Alcune foto dei giorni nostri
Il Palazzo ex Villa Simonetta